Incontri di Lectio Biblica
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- Categoria principale: Vita Parrocchiale
- Pubblicato Lunedì, 02 Novembre 2009 22:35
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Lectio Biblica 2010 - il testo degli incontri
La fede nasce dall'ascolto. La meditazione della Parola di Dio è una dimensione insostituibile della vita del cristiano; essa consente di cogliere le profondità dei sentimenti di Cristo per farli propri e tradurli nelle scelte quotidiane. La Parola di Dio per l'uomo è soprattutto Parola di Consolazione: per questo si è pensato di proporre ogni ultimo Giovedì del mese la lettura e la spiegazione di alcuni passi del Libro della Consolazione, il Secondo Isaia. Il profeta, che annuncia ad Israele l'imminente fine dell'esilio, schiude al popolo un orizzonte di salvezza che è per ogni uomo, chiamato ad accogliere il
dono d'amore gratuito che Dio instancabilmente offre in Gesù.
PRIMO INCONTRO
ISAIA 40,1-11
CONSOLATE, CONSOLATE IL MIO POPOLO
1 Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. 2 Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati". 3 Una voce grida: "Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4 Ogni valle sia innalzata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. 5 Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perchè la bocca del Signore ha parlato". 6 Una voce dice: "Grida" e io rispondo: "Che cosa dovrò gridare?". Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. 7 Secca l'erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. 8 Secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. Veramente il popolo è come l'erba. 9 Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: "Ecco il vostro Dio! 10 Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. 11 Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce dolcemente le pecore madri".
MEDITAZIONE
- Una lectio divina, un ritiro, un corso di esercizi, una giornata di spiritualità...la preghiera in generale è un tempo che diamo a Dio per farci suoi.
Un tempo di impegno (ecco perché nella tradizione della Chiesa si parla di esercizi): leggere un testo, meditarlo, vincere le distrazioni, condividere le proprie riflessioni.
Un tempo che ha come protagonista lo Spirito Santo (spirituali): è Lui che lavora nei nostri cuori, ci fa gustare l'intimità con la Trinità, ci spinge alla conversione.
- È importante che abbiate molta pazienza. Abbiate la pazienza dell'agricoltore che attende con fiducia i frutti del suo lavoro; il vostro lavoro sarà soprattutto quello dell'ascolto.
- Il profeta con cui faremo conoscenza, il cosiddetto Deuteroisaia (Is 40-55), è anonimo. Questo non significa che sia un personaggio di secondaria importanza; è un grande profeta, dotato di una identità molto marcata, che però non si preoccupa di apparire, di imporre la propria personalità. È tutto proteso a servizio di una Parola che deve risplendere e dinanzi alla quale egli vuole scomparire; è un uomo dedito al servizio della sua gente, con un impegno pastorale continuo, assillante, affettuoso.
- Il nostro profeta vive a Babilonia, lì dove una parte del popolo di Israele, circa 15000 persone, è stata deportata nel 587. L'esperienza dell'esilio fu interpretata da molti come il trionfo degli dèi babilonesi, cosicchè l'antica fede si raffreddò e taluni si rivolsero alle divinità straniere. Questo spiega un tratto particolare del linguaggio del Deuteroisaia, che ha accenti di risveglio, di riscossa, di esortazione pressante, come pure l'insistenza sulla nullità degli idoli e sulla potenza del Signore.
- Una volta precisato il contesto storico in cui si colloca questo libro, leggiamo il prologo: 40,1-11.
- vv. 1-2. Il libro si apre con un invito forte, perentorio, urgente: "Consolate, consolate il mio popolo". Questo grido domina e determina tutto quello che segue; dà inizio alla catena di tutte le altre grida, dei comandi che seguono, così come un comando del generale, raccolto e passato da un soldato all'altro, mette in movimento l'esercito fino all'ultimo uomo (cf. p. Pino Stancari).
Questo grido, soprattutto, rompe il silenzio di Dio nell'esilio.
- Fermiamoci ora sul verbo consolare, nhm in ebraico. Tale radice sembra riflettere l'idea di un respiro profondo; dobbiamo allora immaginare che, nel momento in cui una persona si accosta ad un'altra per consolarla, emette un respiro, e con quel respiro dispiega i suoi sentimenti, esprime compassione, sostegno, vicinanza. Non a caso poi si parla del soffio di Dio, che emette il suo Spirito, dispiega anch'Egli i suoi sentimenti per consolare.
- La radice nhm non significa solo "consolare", come lo intendiamo noi. (pensate in questo senso a Gen 37,35, dove tutti i figli e le figlie di Giacobbe vogliono consolare il padre che crede morto il figlio Giuseppe; o Gb 2,11, quando gli amici di Giobbe vanno per consolare lui, il giusto perseguitato). Spesso il verbo ebraico non indica semplicemente un aiuto spirituale, psicologico, ma allude all'intervento soccorritore, restauratore di Dio che cambia lo stato delle cose. È un grido che dice salvezza. Cambiamento di una situazione da negativa in positiva.
- Parlate al cuore di Gerusalemme. Gerusalemme, cioè il popolo di Israele, è dentro Babilonia e pur essendo devastata ha ancora un volto e un cuore. Proprio a Babilonia, nel deserto arido e inospitale della schiavitù, il cuore di Gerusalemme diventa capace di ascoltare e di accogliere il messaggio di Dio, che è un messaggio di consolazione. Vedete, tante volte noi siamo sordi, impermeabili alla Parola. Allora è necessario che il Signore (o la vita) ci porti in terre deserte, di prova, forse di dolore, malattia, perché il cuore diventi più capace di ascoltare. Quando sei messo alle strette, forse, comincerai a capire e a cambiare. Non maledite la croce che portate; può diventare un cammino di ri-educazione del cuore.
- La sua tribolazione è completa. Idea di compimento, come il tempo di una gravidanza. La tribolazione è sempre preludio ad una nuova nascita. È quanto abbiamo detto poc'anzi: la correzione di Dio è dentro un orizzonte salvifico ed è necessaria per il ristabilimento della relazione con Lui.
- Peccare è mancare il bersaglio. La parola della consolazione, invece, va dritto al cuore, non fallisce, non manca il suo obiettivo. Pensiamo a tutte le volte in cui una parola della nostra guida spirituale ci ha ricostituiti nell'essere, ci ha rimesso in piedi...
- vv. 3-4. Preparare vuol dire: sgomberare la strada dagli ostacoli per consentire il passaggio del Signore che apre il cammino. Immaginiamo questo passaggio di Dio, che a sua volta apre la strada per la quale dovrà passare il popolo per recarsi a Gerusalemme: il suo amore apre prospettive nuove, varchi inimmaginabili.
- Quando il profeta parla di "appianare la strada", gli ascoltatori di questa parola pensavano automaticamente alle strade trionfali di Babilonia, che venivano preparate e appianate davanti al re che avanzava vincitore, o alle statue degli dèi portate in processione. Per gli esuli quelle strade mostravano la potenza di Babilonia. Adesso è Yhwh che passa e mostra la sua potenza liberando e guidando il popolo verso la patria. La gloria di Dio viene manifestata nella sua opera nella storia. Il Signore non è per le parate (vedi Babilonia), ma per gli interventi salutari. Lui vuole farsi strada, vuole fare irruzione nella storia umana, nelle nostre vite, per realizzare il suo progetto di salvezza.
- Sembra di vedere un cantiere aperto. Visione grandiosa, impresa monumentale. A volte preparare, cioè convertire il nostro cuore è un'impresa mastodontica perché siamo ostinati nel male. Ma il Signore è più ostinato di noi ...nel bene.
- vv. 5-8. Sapete perché c'è sempre la speranza di conversione e di liberazione per il cristiano? Perchè "la bocca del Signore ha parlato" e la sua Parola realizza quel che promette. "Consolate il mio popolo" - questo annuncia la parola del Signore - e questo Lui fa. "Gridate al cuore di Gerusalemme" ed ecco la voce che grida.
- Tutti gli uomini insieme vedranno il suo passaggio glorioso. La gloria di Dio è la sua presenza consistente, che si tocca quasi con mano, non evanescente come i pollini dei fiori del campo che si volatilizzano o come l'erba secca. Mi piace molto l'avverbio "insieme". Insieme noi vediamo il passaggio di Dio su questa nuova strada. Insieme lo seguiamo. L'opera di Dio non ci ricostituisce soltanto come singoli, ma come comunità.
La visione della gloria del Signore è legata all'accettazione dell'invito alla conversione (vv. 3-4): solo se prepariamo la strada dentro il nostro cuore lo vedremo.
- "Grida". "Che cosa"? Non ci aspetteremmo questa domanda. Il profeta dovrebbe ormai sapere cosa annunciare: cioè che la tribolazione è compiuta, oppure che bisogna preparate la via. È una domanda che, più che il "che cosa", dice: come faccio? Io sono erba secca, fiore appassito. Proprio questa tua inadeguatezza fa risplendere la potenza della parola divina.
- v. 9. "Alza la voce, non temere". Ecco la risposta divina alla inadeguatezza umana. Il nostro alzare la voce...per annunciare cosa? I diritti dei deboli, certo, che non sono diritti deboli, come abbiamo riflettuto comunitariamente nei giorni passati. La necessità di una maggiore giustizia umana, espressione di quella divina, ecc. Quindi dobbiamo alzare la voce per annunciare l'avvento di Dio. Questo strumento formidabile che noi abbiamo, l'alzare la voce, siamo autorizzati ad usarlo solo per dire che Dio viene. Ogni altro uso è improprio. A volte alziamo la voce, cioè combattiamo battaglie senza senso, prese di posizione assolutamente inutili, clamore per nulla, lamenti infondati. Risparmiamo la voce e usiamola per dire che Dio viene, che ha aperto una strada.
- v. 10-11. Viene il Signore. È il cuore del prologo. La consolazione si realizza quando il Signore viene. Prima non c'è consolazione. È inutile sprecare parole, fiato: Lui è il consolatore, Lui dobbiamo rendere presente. Se non abbiamo accolto Dio nella nostra vita non possiamo diventare strumento di consolazione, al massimo possiamo dare una pacca sulla spalla, che non comunica nulla.
- Viene con potenza, come un guerriero vincitore. Lo precedono i suoi trofei. Il Signore mette avanti i suoi figli liberati (ecco i trofei) con orgoglio e soddisfazione, perché tutti li vedano. Guardate: sono i miei figli.
- L'altra immagine è il braccio del pastore, che raccoglie le pecore e porta sul seno gli agnellini. Idea del guidare con dolcezza, verso il riposo, con premura. Ciascuno trova quella cura di cui ha bisogno da parte del pastore. Tutti devono partecipare alla gioia del ritorno in patria; il pastore fa sì che ciascuno possa camminare. Tutti, nessuno escluso, sono dentro la consolazione di Dio.
- Viene dunque il Signore con tutta la sua forza e tutta la sua dolcezza, perché Dio a volte lo percepiamo come potente, a volte come affettuoso, ogni volta una sfumatura diversa del suo amore a seconda della nostra condizione. Sembrano due immagini contraddittorie: il dominatore, il pastore; invece è la potenza del Signore nostro Dio, che è una forza impregnata di delicatezza.
- In conclusione, dando uno sguardo d'insieme al testo, notate quanti termini corporali si riferiscono al Signore: mano (v. 2); bocca (v. 5); braccio (v. 10-11); petto (v. 11). Yhwh è impegnato corpo e anima nel processo della consolazione; è concretamente dedicato, ci mette mano, cuore. Sentiamo quasi fisicamente il contatto con Lui che si fa prossimo e ci consola. Sentiamo la sua mano che si posa su di noi, sentiamoci consolati, salvati, amati.
Entro in preghiera - pacificandomi:
- mettendomi alla presenza di Dio:
Medito e contemplo la scena - leggendo il testo lentamente, punto per punto - sapendo che dietro ogni parola c'è il Signore che parla a me.
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Per la Riflessione personale
- Quando il Signore mi ha consolato?
- Come preparare la via al Signore?
- Credo alla forza irresistibile della parola di Dio?
- Alzo la voce per annunciare la Sua venuta?
- Sento che la mia vita è guidata dal Signore?
-Come esercitare il ministero della consolazione?
SECONDO INCONTRO
ISAIA 54
LA CONSOLAZIONE COME NUOVA ALLEANZA
1Giubila, o sterile, tu che non hai partorito,
prorompi in giubilo e urla, tu che non hai provato le doglie,
perché più numerosi sono i FIGLI della desolata
dei FIGLI della sposata,
dice il Signore.
2Allarga lo spazio della tua tenda
e siano distesi i teli delle tue dimore - non fermarti –
allunga le tue corde
e rafforza i tuoi pioli
3 perché a destra e a sinistra ti espanderai;
la tua discendenza erediterà nazioni
e città desolate popoleranno.
4Non temere poiché non proverai vergogna,
e non sentirti umiliata, poiché non sarai confusa;
perché la vergogna della tua giovinezza dimenticherai
e il disonore della tua vedovanza non ricorderai più
5 perché chi ti sposa è il tuo artefice,
Signore degli eserciti è il suo nome,
chi ti riscatta è il Santo di Israele,
Dio di tutta la terra è chiamato;
6 poiché come una donna abbandonata e afflitta nell’animo
il Signore ti ha chiamato
e come la donna della giovinezza quando è rigettata
dice il tuo Dio.
7Per un breve momento ti ho abbandonata
ma con grande misericordia ti radunerò;
8in un impeto d’ira ho nascosto il mio volto
per un momento da te,
ma con fedeltà eterna HO AVUTO MISERICORDIA di te,
dice il Signore che ti riscatta.
Meditazione
- Il mese scorso abbiamo accolto la parola di consolazione del Signore (Consolate, consolate il mio popolo…) e abbiamo considerato come la consolazione di Dio non sia una semplice pacca sulle spalle alla maniera umana, ma il principio di una nuova creazione. Dio, consolandoci, ci ricrea, ci fa passare da una situazione di morte ad una di vita, da una situazione di schiavitù ad una di libertà.
- Quando Dio ci consola, dicevamo, ci mette l’anima ma anche il corpo. Tanti termini corporali si riferivano nel cap. 40 al Signore: la bocca, perché la consolazione è come un respiro attraverso il quale Dio dispiega la forza dei suoi sentimenti; la mano e il braccio perché la consolazione è il tocco della sua grazia che ci guida verso la pienezza dell’amore; il petto, su cui poggiare il capo, perché la consolazione si manifesta come tenerezza che dà ristoro allo stanco.
- Oggi vogliamo fare un balzo in avanti e passare dalla lettura di Is 40 a quella di Is 54. Due motivi giustificano questa scelta.
Siamo alla conclusione dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a guardare alla fine della storia, che per noi cristiani non significa tanto conclusione quanto compimento, pienezza, cioè il tendere della storia universale e personale verso il suo fine ultimo, la perfezione dell’incontro con Dio.
Il testo di Is 54 contiene questa idea di compimento e di pienezza, non solo perché si pone alla fine del Secondo Isaia e raccoglie il frutto maturo dell’esperienza del profeta come un mare in cui confluiscono tutti i fiumi, ma soprattutto perché qui si vede e si comprende perfettamente cosa sia quella consolazione annunciata fin dall’inizio.
La consolazione è una realtà totalmente nuova, inimmaginabile per l’uomo, che neanche il predicatore più santo e convincente avrebbe saputo trarre dal suo cilindro (cioè dalla sua esperienza spirituale, mistica) se non fosse stata rivelata da Dio. La consolazione è la nuova ed eterna alleanza di Dio con l’uomo. Cerchiamo dunque di capire in cosa significhi nuova ed eterna alleanza, una realtà di cui solo Dio è capace, attraverso la lettura del testo.
- I vv. 1-3 annunciano una nuova maternità e una nascita in qualche modo prodigiose. Tre verbi invitano a gridare di gioia. In particolare, il terzo, tradotto con urla, significa anche “nitrire” e indica perciò una contentezza tutta istintuale, quasi scomposta, che non ha freni. Il profeta, cioè, non invita a dare libero corso ai propri istinti come cavalli imbizzarriti, ma ad esprimere finalmente un grido liberante, una gioia piena senza se e ma, senza condizioni.
Che bello! Quand’è stata l’ultima volta che ti sei sentito così amato…da fare lo scemo, come S. Filippo Neri che andava in giro per Roma rasato solo da un lato, lanciando il cappello in aria e urlando “Gesù”… Una gioia che nessuno ti può più togliere.
- È una sterile che viene invitata a gridare. Una donna, cioè, che non ha mai urlato veramente perché non ha mai provato le doglie del parto, con quel grido che è un misto di dolore, liberazione, esultanza. La sterilità è la condanna ad un muto silenzio, soprattutto nell’antichità, quando la donna acquistava dignità e stima sociale solo in quanto madre di molti figli. Adesso l’esultanza e il grido di gioia si oppongono alla tristezza e al mutismo.
- Attenzione, però. Parlare di questa donna, che è Gerusalemme, come di una sterile, sembra strano perché, se leggiamo il cap. 49 o il cap. 51, noi vediamo che ella ha dei figli. Qui la sterilità indica da un lato la sterile realtà dell’esilio. Forse i nemici di Gerusalemme, vedendo la città sconfitta e i suoi abitanti esiliati a Babilonia, le affibbiavano questo nomignolo in segno di disprezzo. A parte questo, l’esilio è una realtà di sterilità, di desolazione, in cui Gerusalemme è talmente sfigurata da guardarsi allo specchio e non riconoscersi più come madre. Il motivo si chiarisce dopo: sente lontano Dio, che per un momento ha nascosto il suo volto.
Se tu non trovi Dio, non ti ritrovi in Lui, perdi di vista anche te stesso.
- Dall’altro lato, il rovescio della medaglia. Sterilità ci fa pensare a Sara, moglie di Abramo, e poi Rebecca, Rachele. Il loro grembo, prima sterile, viene reso fecondo da Dio. Questo richiamo al passato, alle matriarche, non è un mettere un dito nella piaga (“La tua sterilità è degna di Sara, Rebecca, o Rachele!”), ma è una promessa di vita, l’annuncio di un nuovo inizio totalmente inaspettato. Quanto è accaduto allora si realizzerà ancora: una discendenza numerosa.
Pensate a quando una circostanza triste della vita si è trasformata in occasione della visita di Dio. Non c’è realtà che non sia visitabile e sanabile da Dio. Non pensiamo che ci siano delle situazioni in fondo alle quali Dio non arriva, a meno che non siamo noi ostinatamente ad escluderlo.
- C’è qualcosa di più, però. La novità delle novità non è che la desolata avrà dei figli, ma avrà più figli della sposata. Sapete perché questo accade? Perché il nuovo sposo di questa donna, di questo popolo, non è un uomo qualsiasi, ma Dio in persona, cioè la vita che esplode, la fecondità perenne dell’essere. E Dio qui manifesta un modo nuovo di essere Sposo. Nell’AT sposo si può dire baal, che significa anche padrone. E Dio ha dovuto comportarsi da baal, da padrone, quando ha dovuto correggere il popolo peccatore attraverso la punizione dell’esilio; adesso è finito il tempo della punizione, è iniziato il tempo della gioia senza fine e Dio non è baal ma misericordia.
- L’immagine della tenda che si allarga serve ad esprimere questa vita che cresce, questo grembo che diventa sempre più accogliente.
Il mio cuore è questo spazio che si dilata? Quanta gente accoglie? Chi accoglie? Da un alto la tenda è simbolo di fragilità perché può essere abbattuta facilmente dal nemico o dal vento, smontata rapidamente. E sappiamo che il nostro cuore è fragile. Una parola pronunciata da una persona che stimiamo ci butta a terra, ci polverizza. Qui però la tenda è rafforzata, è resa stabile, perché nella tenda – ricordate la tenda del convegno con Aronne e i suoi figli – Dio abita. Il nostro cuore, per quanto fragile, è abitato da Dio che, se lo fai dimorare, allarga lo spazio, ti rende più grande, dilata i tuoi orizzonti.
- Ecco che i figli della desolata abiteranno città desolate.
Con Dio i conti tornano alla fine. Gli stessi luoghi prima in rovina vengono riabitati. La novità radicale che Dio porta integra, non rinnega il passato. Quello che la vita ti toglie, poi Dio te lo restituisce moltiplicato.
- I vv. 4-6 spostano l’accento dalla madre alla sposa. È chiaro che i due motivi sono collegati, nel senso che il primo è determinato dal secondo. Bellissimo l’appello a non temere. L’uso teologico di questa formula di conforto si riscontra principalmente in tre ambiti. In contesti di guerra santa, nei quali Yhwh assicura la sua presenza e assistenza a favore del popolo contro i nemici; in occasione di manifestazioni teofaniche; all’interno di oracoli di salvezza per Israele.
Non aver paura delle novità che io porto nella tua vita, perché sono delle novità di bene. La paura in fondo è un sentimento e il Signore te lo toglie abbastanza facilmente.
- Si parla molto di vergogna e disonore, che scaturivano per Gerusalemme dalla mancanza dello sposo. Nella Bibbia quando Dio salva toglie la vergogna. Dimenticare la vergogna vuol dire sperimentare la salvezza.
Ho conosciuto persone che hanno commesso degli errori, anche gravi, che se ne vergognano, ma non riescono a liberarsi di questa sensazione. Il Signore ci ha liberato perché restassimo liberi!
- Vediamo come Dio toglie la vergogna, come libera e salva. Lui si riprende questa sposa. Se la riprende anche se Lei se ne era andata d un altro perché aveva peccato (cf. Os 2).
Il Signore ci riprende, ci raccoglie, anche se lo abbiamo tradito, se abbiamo perso la nostra integrità, se abbiamo concesso i nostri favori ad altri.
- Lui non solo sposa Gerusalemme, ma crea la sua stessa sposa. Ci riplasma, ci fa belli, degni di Dio. Ci viene detto il suo nome, Dio si rivela, si rende accessibile. Il suo volto non è più nascosto. Egli ci riscatta. Io sono il tuo redentore. La radice esprime l’idea di riscatto, recupero rispetto a quattro situazioni: un parente finito in schiavitù; le proprietà perdute a causa della povertà; un familiare ucciso e da vendicare; la vedova il cui marito è morto senza lasciare figli. In tutti questi casi il parente stretto, il goel, interviene per riscattare le proprietà alienate e le persone venutesi a trovare in schiavitù; per rendere giustizia al sangue innocente mediante la vendetta; per dare una discendenza al consanguineo defunto senza figli per mezzo del matrimonio. Il dovere di riscattare si fonda sull’appartenenza di una persona o di una proprietà ad un determinato clan familiare.
Dio ci riscatta perché siamo i suoi parenti più vicini, facciamo parte della sua famiglia.
- Nuova ed eterna alleanza. L’esilio ha rotto questa relazione; per colpa di Israele si è consumato un divorzio. Un breve momento nello scenario della storia, ma una breve scossa di terremoto può essere di tale intensità e così dirompente per un edificio da rendere impossibile un semplice restauro ed esigere una nuova fondazione.
L’amore di Dio ci rifonda, ci rinnova, anche quando abbiamo la sensazione di aver rovinato tutto.
- Nuova alleanza vuol dire per sempre, vuol dire sovrabbondanza, vuol dire nuovo inizio, vuol dire perdono gratuito, vuol dire Gesù Cristo che viene, Lui è la nuova ed eterna alleanza di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio perché Lui è il Dio che si fa l’uomo.
- La nuova alleanza è un intervento di Dio nell’intimo dell’uomo, è la presenza di Cristo nel cuore dell’uomo.
Per la Riflessione Personale
- Quand’è stata l’ultima volta che mi sono sentito così amato…da urlare di gioia?
- Penso ad una circostanza triste della vita che si è trasformata in occasione della visita di Dio.
- Ho paura delle novità che Dio suscita nelle mia vita?
- Riesco a perdonarmi?
- Da dove ripartire all’inizio di un nuovo anno liturgico? Da quale parola di consolazione?
TERZO INCONTRO
Il Servo di Yhwh, colui che porta su di sè il peccato e il dolore del popolo, è la figura che più di ogni altra ci aiuta a comprendere il senso e la portata del sacrificio di Gesù sulla croce. La vicenda di questo personaggio getta una luce nuova sul mistero del male che si trasforma, per chi si fida di Dio, da tentazione di disperazione e maledizione in occasione di solidarietà e via di salvezza. |
Isaia 52,13-53,12
13 Ecco, avrà successo il mio servo,
si innalzerà, sarà elevato e sarà alto molto.
14 Come molti furono sconvolti per te (2Sam 13,20)
– così sfigurato per essere d’uomo era il suo aspetto (Gen 18,28)
e la sua forma diversa da quella dei figli dell’uomo – Esaltazione. Parla Dio
15 così egli aspergerà (si meraviglieranno di lui) molte nazioni, (Es 29,21; Lv 4,6)
i re davanti a lui chiuderanno la loro bocca, (Gb 29,9; Sal 107,43)
poiché quello che mai fu raccontato loro vedranno
e quello che mai udirono comprenderanno.
1 Chi ha creduto alla nostra notizia?
E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?
2 E' cresciuto come un virgulto davanti a lui (Is 11,8)
e come una radice da terra arida. (Is 11,10)
Non aveva forma né splendore (Ez 16,14)
perché lo guardassimo e non aspetto perché lo desiderassimo. Evocazione. Parla la comunità
3 Era disprezzato e rinnegato dagli uomini, (1Sam 17,42)
uomo dei dolori e conosciuto dalle sofferenze,
come uno davanti al quale ci si nasconde il volto,
disprezzato e non lo considerammo.
4 Eppure delle nostre sofferenze egli si è caricato, (Gb 33,19)
i nostri dolori si è addossato
mentre noi lo consideravamo
colpito, percosso da Dio e umiliato.
5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità. Comprensione della comunità
Il castigo che ci rende la pace fu su di lui; (Nm 6,26)
per la sua ferita noi siamo stati guariti. (Gen 4,23; Sal 38,6)
6 Noi tutti come un gregge erravamo,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
e il Signore ha fatto ricadere su di lui l' iniquità di noi tutti.
7 Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca; (Ger 11,19; Sal 39,10)
come agnello condotto al macello
e come pecora che di fronte ai suoi tosatori è rimasta muta,
non aprì la sua bocca.
8 Dall’oppressione e dal giudizio fu portato via,
e la sua generazione chi la considerava? Evocazione. Parla la comunità
Poiché fu strappato dalla terra dei viventi,
per l' iniquità del mio popolo egli ebbe il colpo.
9 Fu posta con i malvagi la sua tomba,
e con il ricco nella sua morte,
perché non fece violenza
e non c’era inganno nella sua bocca.
10 Ma il Signore ha voluto schiacciarlo, renderlo malato.
Se offrirà se stesso in espiazione (Lv 7,5)
vedrà una discendenza, prolungherà i giorni,
e la volontà del Signore per mezzo suo si compirà.
11 Dopo il suo tormento vedrà, si sazierà,
con la sua conoscenza il giusto mio servo giustificherà molti, Esaltazione. Parla Dio
e le loro iniquità egli si addosserà. (Es 28,38; Lv 16,22)
12 Perciò io gli darò la sua parte tra i grandi,
e con i forti avrà parte al bottino, (2Sam 3,22)
dato che ha versato se stesso alla morte
ed è stato annoverato con i malfattori,
mentre il peccato di molti egli portava
e per i malfattori intercederà.
Meditazione
- La nostra è una fede pasquale. Anzi, l’esistenza cristiana è un mistero pasquale vivente.
- Vogliamo scavare nelle pagine della Scrittura e soffermarci su una figura che può aiutarci a comprendere il Cristo della Pasqua. È il Servo sofferente, di cui parla il Secondo Isaia. Sapete che esistono i cosiddetti quattro canti del Servo di Yhwh. Non ci interessa qui sapere se è una persona storica del tempo del profeta o se è la comunità stessa. Il servo porta la Parola di Dio, efficace come una spada affilata, a tutte le nazioni, di cui egli è luce; ascolta diligentemente per parlare ai poveri e ha fiducia in Dio, intercede per gli altri. Ma è soprattutto l’uomo della sofferenza.
- Questa sofferenza è diversa da quella del giusto nei Salmi, ove è vissuta nella fiducia di un intervento favorevole del Signore al momento opportuno; è diversa dalla sofferenza di Giobbe, priva di un respiro comunitario (Giobbe è solo nella sua sofferenza, non è capito dai suoi amici), e anche da quella di Geremia, che nelle difficoltà è spesso ribelle (Ger 20: “La parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!”).
- La sofferenza del Servo è strettamente legata al suo ruolo di annunciatore della Parola, è la conseguenza della fedeltà alla sua missione; egli è perseguitato perché il suo messaggio incontra il rifiuto degli ascoltatori. Il Servo è profeta non tanto per quel che dice, ma soprattutto per quel che soffre. Il dolore che vive non è solo invito all’umiltà (il dolore – statene certi – rende più docili e meno spavaldi, persone migliori), o segno della transitorietà di questo mondo (di per sé il dolore è imperfezione e questo mondo non è perfetto), o mezzo di educazione, ma espressione della solidarietà con gli uomini (il Servo si fa carico delle colpe degli uomini, porta i loro pesi). Emerge quindi una figura di alto profilo spirituale, capace di riconciliare gli uomini tra di loro e con Dio, proprio perché la sofferenza, vissuta per amore e offerta a Dio, unisce, fortifica, getta un ponte tra cielo e terra.
- L’inizio e la fine contengono una promessa di salvezza: “avrà successo il mio servo” (52,13); giustificherà il mio servo molti (53,11).
Tra questi due estremi c’è una progressione: da un successo personale a un vantaggio recato a tutti. Il bene, quello vero, non comporta solo un vantaggio per chi lo riceve e per chi lo compie; coinvolge gli altri, si ripercuote su tutti indistintamente.
- In mezzo c’è tutto il cammino di sofferenza del Servo visto con gli occhi di una comunità che dichiara ora di capire il valore di una vita immersa nel dolore: quel dolore non è stato punizione ma causa di salvezza.
- Servo. Il termine “servire” può racchiudere significati opposti a seconda della persona o della realtà al cui servizio ci si pone. Servire il potente di turno è utile ma non è liberante; servire una causa è meritorio ma può sconfinare nell’ideologia a cui spesso si sacrificano le persone. Per Israele la schiavitù più dura e umiliante è stata la soggezione al faraone… Giosuè dice al popolo in un momento di crisi: “Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dèi che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore” (Gs 24,15). Anche oggi abbiamo davanti a noi un’alternativa: servire il Signore o gli altri dèi? La differenza è che il Signore non ci chiama più servi, ma amici.
- Nel nostro testo il servizio è nei confronti di Dio (“mio servo”), sulla scia del servizio di Abramo, Mosè, Davide, i profeti.
- v. 14. Il verbo ~MV (šmm) denota lo sbigottimento davanti a una distruzione o ad una tragedia. In 2Sam 13,20 indica lo sconvolgimento di Tamàr, figlia di Davide, che è stata violentata dal fratello Amnòn. Qui il motivo dello spavento è l’aspetto sfigurato del Servo: “da non sembrare uomo, con l’aspetto non più umano”. “Sfigurato” deriva dalla radice TXV (šht). In Es 21,26 si usa per un occhio danneggiato; in Ger 13,7 per una cintura marcia; in Ger 18,4 per un vaso guasto; in Pr 25,26 per una sorgente inquinata; in Mal 1,14 per un animale difettoso e inadatto al culto. Tanti uomini nell’AT erano emarginati perché sfigurati dalla sofferenza. Difatti essi non erano considerati come esseri normali: per questo destavano paura.
Vedete come il testo all’inizio ci fa quasi toccare il fondo dell’angoscia umana, ci suscita sensazioni tra le più orribili. Non ci risparmia niente perché niente è stato risparmiato al Servo.
- v. 15. Ma proprio quest’uomo, che desta sentimenti di angoscia e paura, aspergerà molte nazioni. Se qui leggiamo il verbo HZN (nzh), allora vengono richiamate le funzioni sacerdotali: in Es 29,21 Mosè spruzza il sangue dell’ariete immolato su Aronne, i suoi figli e i loro vestiti e li consacra sacerdoti. Il verbo ritorna anche quando si parla del sacrificio per il peccato fatto dal Sommo Sacerdote che ristabiliva l’amicizia tra l’uomo e Dio.
- Proprio questa “feccia” di umanità ci riconcilia con Dio, ci salva. È abituale tra gli uomini pensare che Dio stia con i forti, con i vincitori. Eppure non è così: Lui sta con i deboli e si serve dei deboli.
Attenzione a non correre dietro alla gente che conta e che per questo ci affascina. Oggi come ieri, sono i sofferenti che hanno qualcosa da dirci; dietro loro dobbiamo correre. Andare a scuola del malato. Non perdere neanche una sua parola, perché è oro colato, parola provata al fuoco e per questo parola sapiente.
- Nella Bibbia l’uomo ammutolisce o perché la sua parola è stroncata dal castigo, dalla paura, o perché si stupisce dinanzi all’agire gratuito e sorprendente di Dio. Quello dei re è un silenzio pieno di ammirazione. In Gb 29,9 gli anziani si alzano e smettono di parlare in segno di rispetto alla vista di Giobbe. In Sal 107,43 e Gb 5,16 è l’ingiustizia che chiude la bocca quando la giustizia trionfa. Anche il Servo tace, ma dovremo capire il valore del suo silenzio.
v. 2. “Virgulto/bambino/lattante, e radice ” compaiono in Is 11,8.10, dove si parla del piccolo che si diverte vicino la buca della vipera e mette la mano nel covo del serpente velenoso, e della radice di Iesse che diventa la bandiera dei popoli. L’immagine del bambino, in particolare, che non ha paura del pericolo, rappresenta quella umanità nuova e realizzata, in pace col creato, che il Messia inaugurerà. Allora non solo il Servo cresce e matura sotto lo sguardo di Dio, ma la sua sofferenza offerta farà crescere l’umanità, immetterà energie nuove e positive, restituirà l’innocenza perduta, farà innalzare il livello di santità degli uomini. È la sofferenza, spesso sconosciuta e silenziosa, che rinnova il mondo.
- La bellezza fisica nell’AT è segno di benedizione. Ez 16,14 parla della trovatella raccolta da Dio, lavata e vestita come una principessa, resa talmente bella che la sua fama si diffonde ovunque. Ma qui il profeta ci fa intravedere una bellezza ancora più splendente, quella della croce.
- v. 3. 1Sam 17,42. Il disprezzo per il Servo è come il disprezzo di Golia per Davide. Il disprezzo di chi si crede superiore e pensa di non aver mai bisogno di quella persona. Il posto migliore per il Servo non è tra gli ammirati, ma tra i disprezzati: quella è la parte migliore che si è scelto.
- v. 4. BAAK.M; (mk’wb) Dolori è di solito in senso fisico; questo termine indica l’essere esausti. Data la connessione nell’AT tra malattia e peccato, il Servo sembra aver meritato questa sofferenza. Infatti la comunità un tempo considerava le sue sofferenze come segno della punizione di Dio. “Eravamo ciechi; ora invece capiamo che i suoi dolori derivavano dalla docilità a un misterioso disegno di Dio che noi avversavamo”. Finalmente qui è espresso il cammino di una vera conversione.
- Il Servo supera le più alte figure dell’AT: in nessun passo prima si era visto un amico di Dio soffrire fino a questo punto per colpa di altri, sopportare i loro peccati con tanta pazienza.
- v. 5. HR'WBx; (hbwrh) significa piaga, ferita, livido. Non solo è superata la vendetta che portava Lamec a uccidere per un livido (Gen 4,23), o anche la legge del taglione (Es 21,25), ma il dolore subìto viene offerto a Dio proprio a favore dei persecutori e porta la pace.
- La pace che noi abbiamo dentro e fuori di noi non nasce dal nulla, ma è frutto di quello stile di non violenza e di amore che il Servo-Gesù ha inaugurato sulla terra insegnando agli uomini a non assecondare i loro istinti omicidi.
- v. 7. La volontà di non rispondere ad accuse ingiuste, come l’assenza di qualsiasi attacco contro i nemici, rendono eloquente il silenzio del Servo. Questo silenzio dice la sua incrollabile fiducia in Dio che lo aiuta e difende. Che nel silenzio del Servo sia connotata la sua precisa e cosciente scelta di vita emerge dai suoi atteggiamenti passivi. Anche se in tutto il poema il Servo tace, emerge con sufficiente evidenza, proprio dal suo silenzio e dalle sue azioni narrate da altri, che egli è cosciente del senso positivo del sacrificio della sua vita. Il Servo tace perché lascia a Dio l’ultima parola. Sa che una reazione scatenerebbe altra violenza.
Quando hai fatto tutto quello che potevi per evitare il male, accettare la persecuzione significa entrare già in un’altra dimensione, che và oltre la giustizia umana; vuol dire entrare nella dimensione dell’eternità
- Ger 11,19: “Ero come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che essi tramavano contro di me, dicendo: “Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio, strappiamolo dalla terra dei viventi; il suo nome non sia più ricordato”.
Sal 38,14: “Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca”.
Sal 39,10. “Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu che agisci”. È un silenzio simile a quello di Giobbe, che davanti alla manifestazione dell’Onnipotente si mette la mano sulla bocca (Gb 40,4). Non è però un’atterrita accettazione dello strapotere insindacabile di Dio, è una positiva intuizione della superiore logica divina.
vv. 8-9. Si parla della morte e della sepoltura. Il testo non chiarisce se il Servo morì per una vergognosa malattia, o per violenza, o in seguito ad una condanna o esecuzione.
- v. 10. Il progetto di Dio riguarda una volontà di liberazione e di edificazione del popolo di Dio. Si può parlare di risurrezione? L’esaltazione del Servo è certa, avviene dopo la sua morte, ma non si può descrivere.
- Espiazione ~V'A'. (’šm) Lv 7,5. Sacrificio di riparazione. Qui significa obbligo derivante da una colpa, mezzo per riparare. Ci dice che qualcuno si interessa talmente ad altri da assumere in prima persona la responsabilità della loro colpa.
- v. 11. Si addosserà le loro iniquità. Quest’azione richiama due gesti relativi ad Aronne e al capro espiatorio. “Una lamina d’oro Starà sulla fronte di Aronne; Aronne porterà il carico delle colpe che potranno commettere gli Israeliti, in occasione delle offerte sacre da loro presentate. Aronne la porterà sempre sulla sua fronte, per attirare su di essi il favore del Signore” (Es 28,38).
“Il capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione solitaria, sarà lasciato andare nel deserto” (Lv 16,22). L’idea di sostituzione contenuta in questi due passi in relazione ai peccati, è estesa per il Servo alle sofferenze e ai dolori.
- Allora da una parte c’è la dinamica del male. Sono l’innocenza e la fedeltà al progetto di Dio che fanno esplodere il male contro il Servo. Il bene che uno compie, da una parte contagia e coinvolge tanta gente; dall’altra attira l’invidia, la rabbia, il sospetto di altra, perché il bene disturba, si scontra con la stupidità delle persone, con la loro incapacità di vedere il guadagno collettivo che potrà derivare da un’iniziativa positiva. Certa gente combatte il bene solo perché non è stata lei a compierlo e ciò toglie visibilità, prestigio, dandolo ad altri. L’altro cresce, tu diminuisci. Domandiamoci se noi ci troviamo più spesso dalla parte di chi fa il bene e non viene capito, oppure dalla parte di chi soffre per il bene fatto da altri.
- Dall’altra parte c’è l’offerta. Perché il Servo si è dovuto sacrificare? Il male ha introdotto nel mondo un disordine oggettivo che poteva essere superato solo con un supplemento d’amore che fosse più forte del male stesso. Un amore più grande del male.
- Se non c’è una responsabilità degli uni verso gli altri, una disponibilità a portare gli uni i pesi degli altri, la prontezza a solidarizzare con gli innocenti ma anche con i colpevoli, non può attuarsi il sogno di una società nuova, quella che Dio vuole.
- Ci si può domandare perché il Signore permetta la sofferenza del Servo fino a questo punto. Ci possono aiutare due massime rabbiniche.
Il vasaio non fa prove su vasi incrinati, perché basta che li batta una sola volta perché essi si rompano; ma se egli prova sui vasi sani, può batterli molte volte, senza che essi si rompano.
Un padrone di casa aveva due mucche. A quale delle due deve mettere il giogo? Certamente a quella più forte. Alla stessa maniera il Signore mette alla prova il giusto.
- La vicenda del Servo ci suggerisce che il dolore innocente riceve una qualche luce, come un modo per spargere l’amore in un mondo di peccato; è la penultima parola dell’uomo ingiusto trasformata da Dio, con la collaborazione umana, in una vita riconciliata. Nel Servo il dolore unisce intimamente a Dio e contemporaneamente produce solidarietà con gli uomini; diventa il segno di una condivisione con l’altro, di un incontro a livello profondo, tanto più che il Servo poteva fare a meno della sofferenza. Pertanto il dolore, che è l’obiezione più forte all’esistenza o all’agire giusto di Dio, trova nella solidarietà una risposta illuminante.
È però una risposta che sfugge alla pura ragione ed è afferrabile in definitiva soltanto da quell’accettazione fiduciosa della testimonianza divina che è la fede.
- v. 12. Notate bene come il carico, cui si accenna nel v. 11, diventi il “bottino” nel v. 12. Dunque il carico si trasforma in insegna trionfale; il carico che il Servo ha sopportato fino ad essere schiacciato è il trofeo del vittorioso, “perché ha consegnato se stesso alla morte”( alla lettera: “ha denudato, ha sporto il collo”). Ciò che tu doni ti viene ridonato in abbondanza.
Riflessione Personale
Cosa ti colpisce di più dell’itinerario del Servo? Quale immagine o concetto?
In un mondo in cui si fa a gara a chi grida più forte, quando hai taciuto per lasciare a Dio l’ultima parola?
Come definiresti il rapporto tra Dio e il Servo?
Che tipo di legame esiste tra il Servo e la comunità? Ci si può veramente addossare il peccato/castigo/responsabilità di altri?
QUARTO INCONTRO
Isaia 55,1-13 1 O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. 2 Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. 3 Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. 4 Ecco l'ho costituito testimonio fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. 5 Ecco tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te popoli che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo di Israele, perché egli ti ha onorato. 6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7 L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. 8 Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. 9 Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. 10 Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, 11 così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata. 12 Voi dunque partirete con gioia, sarete condotti in pace. I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di gioia e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani. 13 Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non scomparirà.
Meditazione
- v. 1. All’inizio del capitolo sembra di sentire il grido dei venditori di acqua e di altri beni che reclamizzavano i loro prodotti al mercato. È strano, però, questo modo di collocare sulla piazza i prodotti reclamizzati. Non c’è compravendita, non c’è mercato. Siamo in un contesto di totale gratuità. Il vino è simbolo della gioia che deriva dalla presenza di Dio nel cuore dell’uomo; nella Bibbia il paese dove scorre latte e miele è la terra promessa. Allora la promessa di Dio non è altro che la Sua presenza nel tuo cuore e questa ti viene donata gratis.
In questo primo versetto per tre volte si dice: “venite”. Che bello quando qualcuno ti dice: “vieni, passa da me, ti devo dire una cosa bella!”. È come se ti facesse entrare nel suo mondo; se poi te lo dice una persona che ti vuole bene, è certo che ti donerà le cose migliori. “Vieni”…e nasce dentro di te l’attesa di una novità; “vieni”…e già pregusti – senza conoscerla – la bella notizia che ti regalerà (certo, a volte accade anche il contrario, ci viene catapultata addosso qualche brutta sentenza, ma nel nostro passo c’è un annuncio di gioia).
- v. 2. Perché pesate denaro? Fino al tempo persiano non si usò metallo coniato. Il denaro consisteva in pezzi di metallo prezioso (oro o argento) che veniva regolarmente pesato prima di procedere alla conclusione di una transazione commerciale.
Perché faticate? La radice yg? denota una situazione di stanchezza sul piano materiale, il lavoro fino ad essere stanchi, da cui l’essere esausto e spossato. La preposizione be indica la realtà attorno alla quale ci si affatica (la terra: Gio 24,13; il vino: Is 62,8; il fuoco: Ab 2,13, il nulla: Ger 51,58 ) o con la quale ci si stanca. Al contrario, Yhwh non si stanca (Is 40,28) e aiuta gli spossati (Is 40,30) a non affaticarsi più (40,31).
Dio si stanca soltanto per le malefatte del popolo (Is 43,22-25: Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. Non mi hai portato neppure un agnello per l’olocausto, non mi hai onorato con i tuoi sacrifici. Io non ti ho molestato con richieste di offerte, né ti ho stancato esigendo incenso. Non mi hai acquistato con denaro la cannella, né mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici. Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità).
Anche il Servo di Yhwh, come il Signore, si affatica nella sua dedizione a beneficio del popolo (Is 49,4: Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio.).
Lo stesso Israele si è sfiancato nell’idolatria (Is 57,10) e per questo la deportazione da Gerusalemme, che si può configurare come la giusta punizione per l’allontanamento da Dio, si traduce in una forma di schiavitù, con un giogo di vessazioni e lavori pesanti che sfinisce senza posa (Lam 5,5).
La promessa di Yhwh, comunque, assicura che le fatiche di Israele saranno ripagate (Is 62,8: Il Signore ha giurato con la sua destra e con il suo braccio potente: “Mai più darò il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, mai più gli stranieri berranno il vino per il quale tu hai faticato. Is 65,23: Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno e insieme con essi anche i loro germogli..
Perché vi date tanto da fare, sciupate tante energie, il vostro patrimonio esistenziale (intenzioni, attività, affetti) per ciò che non serve? Allora qui potremmo chiederci (domanda tipicamente quaresimale): quello che faccio nella mia vita ha un senso? Mi costruisce e costruisce? Quali cose inutili o dannose io faccio? (Fumo, televisione/ lettura, conversazioni spirituali). Cercate ciò che è eterno, ciò che ci porteremo dall’altra parte. Il CV II dice che quanto di buono, nobile, santo avremo costruito quaggiù ce lo ritroveremo amplificato e perfezionato in Paradiso. Vale la pena faticare per le cose sante!
- Gusterete cibi succulenti è: “vi diletterete col grasso”. Un invito a mangiare le “frittole”… Il grasso era considerato prezioso e prelibato e nei sacrifici era riservato a Dio. Ger 31,14: Sazierò di grasso l’anima dei sacerdoti e il mio popolo abbonderà dei miei beni. È interessante notare che al popolo viene destinato lo stesso cibo dei sacerdoti, lo stesso cibo di Dio (è chiaro che Dio non ha bisogno di cibo, ma è il tentativo dell’uomo di dire che a Dio vanno offerte le cose migliori). Il profeta afferma che all’uomo viene donata quella beatitudine che è la stessa vita di Dio. Che fa Dio durante il giorno? Gode di una gioia senza limiti, senza stonature: ecco, questa stessa gioia viene partecipata all’uomo.
- I primi imperativi certamente vanno compresi in senso metaforico (non si tratta tanto di acquistare un alimento e mangiare, quanto di interiorizzare un messaggio); in senso proprio, cioè letterale, è da prendere l’invito ad ascoltare: tuttavia anche questo ha come scopo ultimo quello di saziarsi e godere.
Dunque “ascoltatemi, così che possiate saziarvi” (è l’ascolto che appaga il nostro cuore: quanto a volte una parola ci sazia più di mille beni!); “porgete l’orecchio, così che viva il vostro cuore”. Mai prima d’ora il profeta aveva motivato in questo modo gli appelli urgenti ed appassionati ad ascoltare il suo messaggio. Qui lui dice veramente qualcosa di diverso da quanto ha detto finora. Prima il profeta ha annunciato la liberazione da Babilonia e il ritorno in patria; adesso aggiunge: vi attende la pienezza della vita. Ed è molto di più.
L’ascolto produce la vita. Quaresima, tempo di ascolto. Noi siamo troppo abituati a sentire noi stessi, i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni: dobbiamo abbassare il volume della nostra stazione. Ascoltare di più la Parola di Dio, che è parola di vita. A volte siamo stolti. Ascoltiamo altre voci e ci perdiamo. Ascoltiamo la voce del peccato, per esempio, che si articola in tentazione, compiacimento, consenso. Mi balena un pensiero, mi solletica l’idea di fare o dire quella cosa, la compio.
- v. 3 Un’alleanza eterna. Davide vuole costruire una casa per il Signore, ma sarà Dio a dargli una casa, cioè una dinastia, la cui caratteristica fondamentale è la stabilità. Bene, questa alleanza adesso viene fatta con tutto il popolo. Il popolo è trattato da re. Dio ci tratta da re.
A volte noi ci sentiamo maltrattati dal Signore; no, semmai siamo maltrattati dalla vita. Il Signore ci tratta sempre da re. Lui perdona. È la natura che non perdona se tu la maltratti; se tu agisci contro natura essa si ribella e ti aggredisce. I disastri geologici ne sono la dimostrazione. Quando mi sono sentito trattato come un re dal Signore? Con quali ornamenti ha impreziosito la mia vita? I figli, il marito, la parrocchia. Quali sono i doni di Dio più cari?
- Vorrei provare a spiegare il concetto di alleanza, che attraversa tutto l’AT. Mi riferisco agli studi di P. Bovati.
Il termine stesso indica un patto, un impegno tra due parti. Dio fa alleanza con Noè, con Abramo, con Mosè, con Davide. Mentre l’alleanza con Mosè insiste sulle condizioni umane e impone obblighi (i comandamenti, i precetti della Legge), le altre insistono sull’aspetto divino, sul favore di Dio che non viene meno anche se l’uomo risulta inadempiente. Ma la nuova allenza di cui parlano i profeti va ancora oltre. Geremia parla di un’alleanza scritta sul cuore, non su un documento di pietra o di carta.
Le tavole di pietra erano un simbolo esteriore di ciò che adesso si realizza; erano una «figura», imperfetta, perché (a) le tavole si possono «rompere»; (b) vengono messe nell’arca, e quindi tolte dalla vista, con il rischio di essere dimenticate; (c) suppongono la lettura, operazione certamente non universale, a causa dell’analfabetismo diffuso, dell’oggettiva difficoltà di decifrazione della grafia e a motivo anche della scarsità delle copie disponibili. Inoltre, le tavole della legge non appartengono alla struttura essenziale dell’uomo, sono infatti a lui esterne, poste davanti; da qui il problema della difficile interiorizzazione di una parola scritta su tavole di pietra.
La scrittura sul cuore – tatuaggio indelebile – è una operazione definitiva. L’Israelita quindi (a) non sarà più costretto a scrivere la legge sugli stipiti delle porte, oppure a legarsi sulla mano la Tôrah scritta o collocarla tra gli occhi (Dt 6,8-9; 11,18-20), perché l’avrà sempre presente: il cuore infatti è la sede della memoria, dell’intelligenza, della decisione d’amore; non ci sarà più bisogno dell’arca (Ger 3,16), perché sarà il cuore a custodire la legge.
Ancora, In Ger 17,1 il profeta diceva: «il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, con una punta di diamante è inciso sulla tavola del loro cuore e sui corni dei loro altari». Con questa immagine il profeta esprimeva il dramma di un cuore straordinariamente duro,ostinato nel male, che rendeva inevitabile la tragedia. In Ger 31,33 abbiamo una radicale trasformazione di questa figura negativa: dicendo che il Signore scriverà la sua legge sul cuore degli Israeliti, il profeta annuncia che Dio li renderà capaci di bene, atti alla conoscenza del Signore; di conseguenza la storia dell’alleanza si dispiegherà in benedizione.
Ciò che il testo vuole quindi sottolineare è il passaggio da un sistema di insegnamento mediato da uomini, nella esteriorità quindi della relazione, ad una realtà nella quale Dio stesso si fa conoscere, direttamente e perfettamente. La nuova alleanza avviene quando il maestro se ne va, quando simbolicamente muore. Essa si realizza quando al maestro esteriore si sostituisce l’esperienza personale, il possesso intimo della verità (alcuni parlano in questo caso di «maestro interiore», che è da identificarsi con la verità a cui liberamente si acconsente). Questa è la linea della nuova alleanza che si sviluppa tematicamente mediante il simbolo del cuore che conosce o dello spirito del Signore che diventa principio di intelligenza e di azione buona.
- v. 6. Mentre si fa trovare. Questo è il tempo adatto perché ciò accada. Questo è il tempo adatto per convertirsi. Il Signore si fa trovare nella condizione di Servo, di Cristo pasquale, di uomo che soffre per noi. Lì troviamo il Signore, nei malati, nella gente che soffre e si offre per amore. Attenzione alla sofferenza in questo periodo.
14 Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato".
15 Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
16 Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me.
17 I tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te.
18 Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si radunano, vengono da te. "Com' è vero ch' io vivo - oracolo del Signore – ti vestirai di tutti loro come di ornamento, te ne ornerai come una sposa".
19 Poiché le tue rovine e le tue devastazioni e il tuo paese desolato saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti, benché siano lontani i tuoi divoratori.
20 Di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui fosti privata: "Troppo stretto è per me questo posto; scostati, e mi accomoderò".
21 Tu penserai: "Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile; questi chi li ha allevati? Ecco, ero rimasta sola e costoro dove erano?".
22 Così dice il Signore Dio: "Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli, per le nazioni isserò il mio vessillo. Riporteranno i tuoi figli in braccio, le tue figlie saran portate sulle spalle.
23 I re saranno i tuoi tutori, le loro principesse tue nutrici. Con la faccia a terra essi si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi; allora tu saprai che io sono il Signore e che non saranno delusi quanti sperano in me".
24 Si può forse strappare la preda al forte? Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno?
25 Eppure dice il Signore: "Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno. Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli.
26 Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto. Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore, tuo salvatore, io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe".
MEDITAZIONE
Sul "Non ricordo o perdono", cf. Is 43,25; 64,8; Ger 34,31
- La scelta di questo passo prende le mosse dalla testimonianza di un giovane che da bambino era stato abbandonato dai genitori e che citava proprio Is 49,15: "Si dimentica forse una donna del suo bambino...anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". Una persona che ha sperimentato l'abbandono dei genitori fin dalla tenera età ma che ha scoperto in Dio una paternità e maternità più grandi.
- Alcune note introduttive circa la struttura del testo. Il brano è diviso in tre parti: vv. 14-20; 21-23; 24-26. Ognuna inizia con un'affermazione di Israele che suona come un lamento, uno sfogo, una protesta (è evidenziata in corsivo); segue un annuncio di salvezza: la risposta di Dio al lamento è una parola di salvezza.
- Gerusalemme parla per lamentarsi. Solo un attimo prima, il v. 13 proclamava la consolazione di Dio: "Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri". Che succede? Ti ho invitato a rallegrarti perché sono con te e ti consolo, e un attimo dopo mi accusi: "mi hai dimenticato". Quando la parola di Dio dovrebbe bastare a ridestare la fiducia, noi protestiamo perché ci sentiamo abbandonati. Il Signore ha detto che ti consola: fidati!
Quanti lamenti infantili nella nostra vita! È vero, gli psicologi dicono che non dobbiamo tenere tutto dentro, però dobbiamo imparare anche a sopportare offrendo. Ci sono persone a cui è "pericolosissimo" chiedere come và, perché cominciano con dei piagnistei...e a volte lo fanno solo per mestiere...Ci vuole un po' più di spina dorsale.
- A cosa ci fa pensare questa primo lamento "il Signore mi ha abbandonato?" Ci viene subito in mente quello che può essere considerato il grido più dirompente dell'umanità di ogni tempo (l'unico che forse squarcia le nubi), l'inizio del Sal 22: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato..."
È un'accusa rivolta a Dio, la protesta contro il suo silenzio. Se Dio ha abbandonato il salmista, ciò è qualcosa che mette in crisi tutto un sistema religioso, perché è radicata nell'AT la convinzione che Dio non abbandona i suoi fedeli (Sal 9:11: "Confidino in te quanti conoscono il tuo nome, perché non abbandoni chi ti cerca, Signore"; Sal 16:10: "Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione"; ecc.). La colpa dell'attuale situazione di morte è attribuita a Dio, che non è fedele alle sue promesse. Ciò che per l'uomo biblico è insopportabile non è la sofferenza, ma il fatto che Dio lo abbia abbandonato, o che si senta abbandonato da Lui. Contro questo egli protesta.
Ancora oggi ciò che fa scandalo non è tanto la malattia, il dolore, ma la sensazione di essere stati maltrattati dal Signore, il quale ha distolto il suo volto permettendo o addirittura causando una sofferenza.
- Dal v. 15 al v. 20 abbiamo la risposta di Dio. + Cosa notate in questi versetti quanto all'uso dei verbi, prima ancora di guardare al contenuto? Molti verbi sono al futuro. Dio risponde con promesse. Ricordate Abramo. Gen 12:1: "Il Signore disse ad Abram: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò".
Dio risponde con promesse. È questo il modo che ha scelto per risponderci. Non sono le promesse dei politici, però... Avrebbe potuto scegliere di risponderci con un rombo di tuono, oppure, come in un miraggio, mettendoci sotto gli occhi la realtà da noi desiderata... ha scelto la promessa, chiedendoci, cioè, fiducia. La risposta di Dio richiede l'abbandono fiducioso alla sua promessa. Ecco perché il cristiano guarda sempre con speranza al futuro, perché il domani contiene già la promessa, la risposta di Dio.
- "Io non ti dimenticherò" non può essere oggetto di osservazione immediata, ma solo di abbandono fiducioso alla promessa di Dio.
- La replica di Yhwh, che comincia con una domanda retorica con cui si sottolinea che Egli non si dimentica di Sion (v. 15), insiste sul fatto che la città è stata sempre davanti ai suoi occhi (v. 16) ed ha come perno soprattutto l'annuncio dei figli nuovamente ritrovati.
- Il motivo dei figli va dal v. 17 al v. 25: è il più importante.
- Invece di un rimprovero per questa mancanza di fede, Dio manifesta il suo amore con una pazienza unica, oltre che con una immensa tenerezza. Avrebbe potuto dire: "non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire". Meno male che il Signore è paziente.
- In 40,26 in un altro momento di grande scoraggiamento, il profeta aveva invitato i suoi uditori abbattuti a fissare lo sguardo nelle stelle e, attraverso di esse, al creatore: "levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e li chiama tutti per nome". Qui parla di una madre e del suo bambino. Nel momento in cui hanno perso tutto, queste due cose sono rimaste come realtà viva agli esiliati: le stelle in cielo e un bimbo nel seno della madre.
Quando hai la sensazione di non concludere niente o di aver perso tutto, guarda all'essenziale, le stelle sopra di te e una donna che aspetta un bambino davanti a te. Sono il segno di una realtà più grande della tua piccola crisi, di una vita che ti avvolge e dentro la quale tu sei compreso. Le stelle, l'infinito: e tu ne fai parte, ci sei dentro. Una madre: la fecondità di una vita che nasce e tu rinasci sempre perché la forza della vita è più grande della morte che forse sperimenti.
Credo che se ci educhiamo alla contemplazione di queste realtà paradigmatiche, capaci di comunicarci ciò che è essenziale, riusciremo a uscire dai nostri vortici.
- Gerusalemme si presenta come una sposa che protesta perché è stata tradita. La risposta di Dio ci sembra non adeguata, perché Sion si sta lamentando come una sposa tradita, per cui ci aspetteremmo che il Signore le dicesse: "non è vero, guarda che io sono uno sposo fedele". Invece il Signore si rivolge a Sion per dirle: "guarda che l'amore materno è costante e tu sei figlia". Gerusalemme si lamenta perché ritiene di essere una sposa abbandonata e il Signore la tratta come figlia. (p. Pino Stancari). Come risolviamo questo slittamento da un piano all'altro?
- Poi al v. 18 ancora sposa. Dopo che ti sei resa conto che sei frutto delle mie viscere, che Io ti sono madre, una volta che ti sei resa conto di essere figlia, allora guardati intorno e scoprirai che la tua identità di sposa non è negata, anzi esaltata (p. Pino Stancari).
Credo che il profeta voglia dirci una cosa. Per poter essere sposo/a, padre o madre dobbiamo prima essere figli. Prima di giungere alla maturità, che significa diventare responsabili di qualcosa e di qualcuno (la giusta aspirazione di ciascuno di noi) dobbiamo prima vivere bene da figli. Tu potrai vivere pienamente il sacramento della maturità cristiana (matrimonio, sacerdozio), se vivi bene il tuo battesimo.
-Dio dice a Gerusalemme: vivi il tuo essere figlia; ti sentirai veramente sposa e madre. Lo Sposo ti conferma nella figliolanza di cui ti eri dimenticata e ti rivela la fecondità a cui avevi rinunciato.
- v. 16. In Is 44,5 si dice: "Questi dirà: Io appartengo al Signore, quegli si chiamerà Giacobbe; altri scriverà sulla mano: Del Signore, e verrà designato con il nome di Israele". Si parla di adoratori che si scolpiscono il nome del Signore sul palmo della mano; adesso il tatuaggio è supposto sulle mani di Dio. Vi è ritratta tutta la città, le mura, come un piano regolatore disegnato da Dio stesso per la nuova Gerusalemme. Il profeta vede già le mura risorgere, sotto l'opera febbrile dei costruttori.
- Gerusalemme è paragonata a una giovane sposa che non rifugge dagli ornamenti. Bisogna agghindarsi bene il giorno del matrimonio, no? Questi, però, non saranno costituiti da oggetti materiali, ma dai reduci, dai figli.
- v. 18. Guardati attorno, vedi tutti questi che stanno arrivando, che si radunano, che vengono verso di te per la tua festa nuziale, perché tu sei sposa? Chi sono questi personaggi invitati alla festa di nozze? I figli di cui fosti privata ritornano. Tu protestavi perché esigevi la consolazione da parte del marito, anzi lo rimproveravi per essere stata da lui abbandonata. In realtà tu ti eri dimenticata di essere figlia e di essere madre. I figli stanno arrivando, una moltitudine immensa, tanto è vero che non c'è spazio per tutti e bisogna allargare quell'ambiente troppo ristretto. Ti lamentavi perché ti ritenevi tradita come sposa? E invece il Signore ti sta dimostrando che tu sei valorizzata come sposa in quanto sei visceralmente amata come figlia, dotata di fecondità materna. La consolazione viene dall'esperienza di quanto si dilata lo spazio dentro di te (p. Pino Stancari).
- v. Alza gli occhi e guarda. È interessante che in realtà non c'è nulla da vedere. Il profeta invita a vedere ciò che ancora non è realizzato, la strada che riconduce i reduci in patria. È ancora la dinamica della promessa, che ti invita a vedere il non ancora. Primo Mazzolari dice che la speranza vede la spiga, quando i miei occhi di carne non vedono che il seme che marcisce.
- La città, rimasta senza figli e conscia della sua sterilità, non sa spiegarsi la crescita prodigiosa dei suoi nuovi abitanti. La città usa verbi al maschile (chi generò...): è evidente una tacita attribuzione del miracolo a Dio. In 1,2 si dice: "Udite, cieli; ascolta, terra, perché il Signore dice: "Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me". Vi è un progresso: a Dio è attribuita non solo la crescita, ma anche la nascita di questi figli misteriosi.
- v. 22. Basta un semplice cenno della mano perché tutti i popoli facciano a gara nel facilitare l'afflusso in Gerusalemme. A Dio basta un cenno della mano. Fidati, Lui è l'Onnipotente. La tua vita è condotta da una mano onnipotente che non lascerà delusi quanti sperano in essa (v. 23)
RIFLESSIONE PERSONALE
- Quanti lamenti inutili nella nostra vita!?
- Su quale promessa di Dio stai fondando ora la tua vita?
- Quando il Signore è stato paziente con te?
- Sei abbastanza figlio per poter essere veramente sposo, sposa, padre o madre?
- Come Dio ti chiede di dilatare lo spazio del tuo cuore?
Sull' "Io mi ricorderò", cf. Gen 9,14-16; Es 2,24;6,5; Sal 105; 106; Ez 16,60
Sul "Ricordati, o Dio", cf. Es 32,13; Dt 9,27; Ne 1,8
- In cosa ti affatichi? In ciò che c ti costruisce e costruisce o in ciò che passa?
- In quali aspetti e momenti della tua vita Dio si fa trovare?
- Quanto il tuo modo di pensare è lontano dalle vie di Dio? Quanto le tue vedute sono evangeliche?